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La diffida stragiudiziale impedisce la decadenza del committente dalla responsabilità solidale con l’appaltatore

a cura di Luca Daffra - Studio Ichino, Brugnatelli e Associati  | 10 novembre 2021

La responsabilità solidale di cui all'art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 - che è applicabile anche alle società con partecipazione pubblica (nel caso di specie, Trenitalia S.p.A.), benchè esse siano sottoposte al codice appalti (D.Lgs. n. 50/2016) - è soggetta a un termine di decadenza biennale. Tale decadenza, nel silenzio della norma ratione temporis vigente (anteriore modifica apportata dalla Legge n. 92/2012), può essere impedita non solo dal deposito del ricorso giudiziario, ma anche dal deposito di un atto scritto, pure stragiudiziale, inviato al committente, con il quale il lavoratore chieda a quest'ultimo il pagamento di crediti di lavoro maturati nei confronti del datore di lavoro appaltatore, in esecuzione dell'appalto (massima non ufficiale, nda) (Cass. 28 ottobre 2021, n. 30602 ).

 

La sentenza in commento

La Corte d'appello di Roma confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato l'opposizione promossa dalla committente Trenitalia S.p.A. avverso i decreti ingiuntivi emessi in favore dei dipendenti di un appaltatore per il pagamento, in virtù della responsabilità solidale di cui all'art. 29 del D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, delle somme dovute a titolo di retribuzione dal loro datore di lavoro.

Per quel che rileva in questa sede, la Corte Capitolina, ritenuta l’applicabilità del citato art. 29 anche alle società per azioni a partecipazione pubblica, osservava che, in assenza di espressa previsione legislativa, la decadenza biennale dall'esercizio dell'azione potesse essere impedita da qualsiasi atto scritto stragiudiziale diretto nei confronti del committente, ed escludeva che nella specie si fosse verificata la causa dì estinzione dedotta. I crediti azionati erano relativi ad appalto cessato il 31 luglio 2009 ed il relativo diritto era stato esercitato a mezzo lettera raccomandata del 29 luglio 2011.

 La società ha presentato ricorso in Cassazione affidando l'impugnazione a due motivi:

  • con il primo motivo, denunciava la violazione degli artt. 29, secondo comma , D.Lgs. n. 276/2003, 118, sesto comma, D.Lgs. n. 163/2006, 1676 c.c., sull’assunto che la Corte d'appello avesse erroneamente ritenuto a applicabile il regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 29 , nonostante essa sia una società per azioni a partecipazione pubblica;
  • con il secondo motivo lamentava la violazione dell'art. 29, secondo comma, del D.Lgs. n. 276/2003, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che la decadenza ivi prevista potesse essere impedita da un atto stragiudiziale, anziché dalla proposizione di domanda giudiziale.

Nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha, innanzitutto, rigettato il primo motivo di ricorso, ribadendo che il citato art. 29, secondo comma, del D.Lgs. n. 276/2003 è applicabile alle società con partecipazione pubblica, dovendo escludersi la sussistenza di un divieto di applicazione della suddetta norma nei confronti di soggetti di diritto privato, benchè soggetti al Codice Appalti.

Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte, riepilogate le modifiche dell’art. 29 , intervenute tra il 2003 e il 2017, ribadito la natura decadenziale del termine biennale ivi previsto (in senso conforme, Cass. 17 marzo 2017, n. 6983, Cass. 4 luglio 2019, n. 18004 ) decorrente dalla cessazione dell’appalto (Cass. 14 novembre 2019, n. 29629; Cass. 18 luglio 2017, n. 17725) e ricordato che il relativo regime di solidarietà è quello vigente al momento dell'insorgenza del credito del lavoratore (Cass. 13 febbraio 2019, n. 4237), ha osservato – confermando il ragionamento della Corte d’Appello – come, in mancanza di una espressa previsione legislativa, anche un atto scritto stragiudiziale, idoneo a far valere la responsabilità del committente rispetto alla pretesa poi azionata giudizialmente, sia valido ad impedire la decadenza e ciò coerentemente con la ratio dell'istituto, “che è quella di rendere edotto il committente di rivendicazioni dei lavoratori anche nei suoi confronti, senza pregiudicare, in mancanza di preminenti ragioni di ordine pubblico, la posizione dei lavoratori che intendano ottenere le loro spettanze in conseguenza di una responsabilità solidale del committente prevista dalla legge”.

La Cassazione, a supporto della propria conclusione, ricorda come l'art. 2966 c.c. preveda che "la decadenza non è impedita se non dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto". Ebbene, posto che nel caso di specie, la norma ratione temporis applicabile, non specifica quale sia l'atto che deve essere compiuto per impedire la decadenza, la Suprema Corte ritiene che questo possa essere anche un atto stragiudiziale: e invero, il riferimento all’azione giudiziaria da proporsi sia nei confronti del committente sia nei confronti dell'appaltatore è stato introdotto solo con la Legge n. 92/2012 (quindi successivamente alla fattispecie in questione).

I Supremi Giudici affermano, infatti, che: “… risulta maggiormente aderente al testo della norma ratione temporis vigente giungere alla conclusione che la decadenza in questione, nel silenzio del legislatore, possa essere impedita non solo dal deposito del ricorso giudiziario, ma anche dal deposito di un atto scritto, anche stragiudiziale, inviato al committente, con il quale il lavoratore chieda a quest'ultimo il pagamento di crediti di lavoro maturati nei confronti del datore di lavoro appaltatore in esecuzione dell'appalto”.

Osservano ancora i Giudici che lo stesso art. 2964 c.c. non indica che cosa debba intendersi per esercizio del diritto e quindi nulla impedisce che il diritto possa essere esercitato anche a mezzo di diffida o atto stragiudiziale, a ciò conseguendo che, ove effettuata nel circoscritto termine previsto, la comunicazione di un atto nel quale sia chiara la volontà di richiedere l'operatività della responsabilità del committente ben può ritenersi anch'essa idonea ad impedire la decadenza di cui si tratta.

Quanto alla natura della decadenza in questione, la Cassazione chiarisce che questa è di carattere sostanziale, riferendosi “all'obbligazione del committente, in solido con l'appaltatore, nei confronti dei lavoratori, ‘entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto’ relativamente ai trattamenti retributivi ed ai contributi previdenziali dovuti. In tal modo la norma intende avere riguardo al periodo di operatività della responsabilità del committente e non pone alcuna prescrizione circa il modo attraverso il quale far valere il corrispondente diritto da parte del lavoratore, diritto che, in relazione alla individuata connotazione decadenziale del termine biennale, deve ritenersi non più sussistente qualora non venga esercitato [– anche stragiudizialmente -, nda.] entro il previsto lasso temporale”.

Alla luce delle suddette argomentazioni, la Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto idonea la diffida stragiudiziale inviata dai dipendenti dell’appaltatore al committente a interrompere, nei confronti di quest’ultimo, la decadenza di cui all’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003.

Commento critico

La sentenza in commento è la prima della Cassazione sul tema di quale sia la natura dell’atto idoneo a interrompere la decadenza dalla responsabilità solidale del committente negli appalti.

La soluzione prospettata dalla Suprema Corte, benchè avente a oggetto un caso anteriore alla modifica apportata dalla Legge n. 92/2012 – che ha introdotto riferimento all’azione giudiziaria da proporsi sia nei confronti del committente sia nei confronti dell'appaltatore – pare poter produrre effetti anche per il periodo successivo, quantomeno successivamente al 17 marzo 2017, quando l'art. 2, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 17 marzo 2017, n. 25, convertito senza modificazioni, dalla Legge 20 aprile 2017 n. 49, ha nuovamente eliminato il riferimento all’azione giudiziaria.

Ciò detto, occorre rilevare che, in passato, autorevole giurisprudenza di merito si era espressa in senso opposto alla Suprema Corte affermando che: “La decadenza dall'azione del lavoratore che intenda agire contro il committente per far valere la responsabilità solidale di quest’ultimo per crediti di lavoro ai sensi dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276 del 2003 non può essere impedita dal compimento di un atto extragiudiziario ma solo dal deposito del ricorso giudiziario contro il committente” (Trib. Roma, d.ssa Elena Boghetich, sentenza 11 marzo 2014).

Nella citata sentenza si legge: “va osservato che, da un punto di vista letterale, l'art. 29, comma 2, parla di ‘limite’ entro cui esercitare l'azione di solidarietà; va, inoltre, rilevato che la disposizione, seppur a seguito di novella aggiunta dall'art. 4, comma 31, lettere a) della Legge n. 92 del 2012, prevede: ‘Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori’. Nella, indubitabile, equivocità del tenore lessicale, la dizione utilizzata sembra far optare maggiormente verso la natura decadenziale del termine, avendo il legislatore previsto uno sbarramento temporale entro cui esercitare un diritto; l'interpretazione è avvalorata dalla novella legislativa che - aggiungendo un periodo immediatamente successivo alla previsione del termine - fa espresso riferimento all'azione giudiziaria proposta dal lavoratore interessato, facendo intendere che questo sia l'unico atto tipico che impedisca la perdita del diritto. Ciò fa, altresì, ritenere che vada individuato, come dies ad quem, la data del deposito del ricorso in Cancelleria, piuttosto che il momento successivo della comunicazione (tramite notifica) al destinatario”.

Accorrerà ora attendere quale orientamento verrà ad affermarsi e consolidarsi: quello che però è certo è che, da oggi, il rischio che il committente sia convenuto in giudizio in relaziona alla responsabilità solidale di cui all’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, ben dopo il decorso di 2 anni dalla cessazione dell’appalto cui le pretese si riferiscono, è estremamente concreto.

 

Riferimenti normativi:

  • D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, art. 29
  • Corte di Cassazione, sentenza 28 ottobre 2021, n. 30602